Ricerca Eures: 8 medici su 10 favorevoli agli infermieri specialisti

di oggisalute | 9 marzo 2015 | pubblicato in Attualità
infermieri

Nove medici su dieci sono soddisfatti del loro rapporto con le professioni sanitarie. Il 94,2% – anche di più quindi – lo è nei confronti proprio degli infermieri; e ben 8 su 10 “approvano” la figura dell’infermiere specialista.

Sono i risultati dell’indagine “L’interazione medico-infermiere nelle strutture sanitarie” condotta nel 2014 dall’Eures, Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, che ha analizzato tutte le aree geografiche (Nord, Centro, Sud), generi (uomo, donna) e fasce di età (fino a 39 anni, 40-54 anni, 55+ anni), in 212 strutture sul territorio nazionale per un totale di 380 reparti coinvolti. L’indagine è stata presentata oggi al XVII Congresso della Federazione nazionale dei Collegi IPASVI in corso all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

Il problema delle relazioni tra medici e infermieri, messo in evidenza da qualche settimana per le critiche al “comma 566” della legge di stabilità 2015 che dà l’imprimatur normativo alla possibilità di prevedere competenze avanzate, se c’è è a livello di “comando”. A livello di dirigenza (primari soprattutto), infatti, in 1 struttura su 4 non si affronta in genere la questione della collaborazione tra le diverse figure sanitarie, mentre il 4,2% la “tollera” pur non incentivandola, e un residuale 0,5% la ostacola.

Ma c’è di più. 8 medici intervistati su 10 (il 79,3%) sono favorevoli all’introduzione dell’infermiere specialista, sulla quale è già pronto un accordo Stato-Regioni. In particolare il 25,6% dei medici si dice “del tutto favorevole” e il 53,7% “abbastanza favorevole”, mentre il 20,7% è contrario (il 16,1% “piuttosto” e il 4,6% “del tutto”). In realtà solo l’11,9% di tutti i medici intervistati è contrario perché ritiene che la figura genererebbe sovrapposizione e confusione dei ruoli.

Oltre 2 medici su 3 sono convinti che la presenza dell’infermiere specialista sarà “molto” o “abbastanza utile ed efficace” in tutte le aree mediche in cui sarà impegnato.

Maggiormente favorevoli alla presenza degli infermieri specialisti in corsia sono i medici dei reparti di medicina generale (75,5%) e di neonatologia/pediatria (74,3%), seguiti dai medici impegnati nell’area intensiva e dell’emergenza/urgenza e da quelli della salute mentale e dipendenze (66,7% in entrambi i casi). Una valutazione positiva di utilità/efficacia c’è anche tra i chirurghi (63,5%) e i medici dell’area delle cure primarie e servizi territoriali (55%), tra i quali tuttavia gli “scettici” sono il 45%.

La maggiore “adesione” all’introduzione dell’infermiere specialista è tra le donne (favorevoli nell’84% dei casi, contro il 76,2% tra gli uomini), i medici più giovani (85,7%, scendendo al 78,2% tra i medici di 40-55 anni e al 76,2% tra gli over-54) e i medici dell’area neonatologico-pediatrica (favorevoli nell’84% dei casi, a fronte del valore minimo di 75,6% nell’area chirurgica). Sono inoltre i medici ospedalieri (87%) e quelli che non svolgono attività intramoenia (87,6%) ad apprezzare di più la proposta, riconoscendo il valore aggiunto, le potenzialità e le positive ricadute che potrà avere una figura infermieristica con competenze avanzate.

Sul fronte opposto, la condivisione scende di circa il 20% tra i medici che lavorano anche presso studi privati o che svolgono soprattutto intramoenia, tra i quali i contrari salgono rispettivamente al 35,2% e al 35,1%. L’area dei contrari è poi maggiore nelle più alte gerarchie mediche: 36,4% tra i dirigenti delle Unità Operative complesse (comunque favorevoli nel 63,7% dei casi), a fronte del 14,6% dei direttori delle Unità Operative semplici (favorevoli nell’85,4% dei casi).

La collaborazione tra le diverse figure sanitarie sembra costituire quasi un imperativo nella gestione delle UO visto che oltre 7 dirigenti su 10 la “promuovono” o la “impongono”. E sono i dirigenti delle strutture private (accreditate/convenzionate) a sostenerla di più (86,4% dei casi) rispetto a quelli della strutture pubbliche (71,2%), dove invece, più frequentemente, i dirigenti tendono a non occuparsene (24,1% dei casi contro il 13,1% delle strutture accreditate/convenzionate).

La cooperazione tra le diverse figure sanitarie ha il suo obiettivo primario nella tutela del paziente e della sua salute e investe trasversalmente i diversi processi di presa in carico, di cura e di gestione complessiva dei pazienti. Proprio nelle decisioni relative a questo ambito 8 medici intervistati su 10 (il 79,9%) affermano di aver ricevuto aiuto da un infermiere. Di poco inferiori sono le percentuali per le decisioni sulla gestione delle degenze, mentre una maggiore diversificazione c’è per quanto riguarda le decisioni terapeutiche: in questo caso è elevato l’aiuto tra colleghi medici (82,2% dei casi), ma c’è anche quello degli infermieri che aiutano nel 41,2% dei casi il medico in un ambito “teoricamente” di sua esclusiva competenza.

L’aiuto ai medici dagli infermieri nella gestione dei pazienti è elevato per tutti gli ambiti clinici, con i valori più alti nell’area neonatologica-pediatrica (88,2%); analogamente una maggiore richiesta/apertura all’aiuto degli infermieri emerge tra i medici più giovani e tra le donne.

«La ricerca – sottolinea Annalisa Silvestro, senatrice e Presidente della Federazione IPASVI – dimostra che c’è bisogno di professionalità sempre maggiori e soprattutto di una forte collaborazione trasversale per aiutare davvero il cittadino e ottimizzare i servizi. Si devono abbandonare quindi le trincee ideologiche e nessuna famiglia professionale deve arrendersi a essere quella di tanti anni fa e nessuna deve prevalere su nessun’altra. La parola magica, la chiave del futuro, è fare rete e collaborare. Ognuno con le proprie competenze che devono e possono, la ricerca lo sottolinea, crescere e cambiare perché l’evoluzione dell’assistenza lo richiede».

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