Encefalopatia epatica

Il fegato ammalato “avvelena” il cervello
di 10 mila italiani all’anno

di oggisalute | 10 aprile 2017 | pubblicato in Attualità
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Può iniziare all’improvviso con un momento di smarrimento, uno scatto di rabbia, una difficoltà a fare collegamenti o a ricordare. Piccoli ‘default’ spesso archiviati come effetti collaterali dell’età che avanza o come una fase difficile della vita. E invece è un ‘veleno’ in circolo che annebbia la mente, quando il fegato sfiancato dalla cirrosi diventa meno capace di detossificare. Il nemico si chiama ammonio, e si accumula sempre di più. A pagare il prezzo di un meccanismo inceppato è il cervello. La sua condanna: l’encefalopatia epatica.

Una condizione che ogni anno “colpisce in Italia dalle 8 alle 10 mila persone, sebbene il dato sia variabile e dipenda anche dalla prevalenza della cirrosi epatica di cui è una complicanza”, spiega all’AdnKronos Salute Erica Villa, professore ordinario di Gastroenterologia, all’Università di Modena e Reggio Emilia e direttore della Gastroenterologia dell’azienda ospedaliero-universitaria di Modena. L’encefalopatia epatica di tipo C affligge il 30-40% dei pazienti con cirrosi. Seppur così diffusa, questa è un’insidia poco nota. I segnali d’allarme non sono semplici da riconoscere. Cali dell’attenzione, difficoltà di concentrazione, deficit cognitivi e delle abilità spaziali. E poi confusione, difficoltà a svolgere lavori manuali di precisione, agitazione psicomotoria, aggressività. I sintomi possono crescere a poco a poco o esordire in maniera eclatante “come complicanza magari scatenata da un eccesso di terapia diuretica o da infezioni concomitanti”, chiarisce la specialista.

Nella fase iniziale, “l’encefalopatia minima dà una sottile modificazione dei comportamenti del paziente che in famiglia viene spesso percepita solo come un peggioramento del carattere, una maggiore irrequietezza, un’incapacità a dormire di notte che porta a stare più addormentati di giorno. Circostanze che non sempre vengono riportate al medico e il rischio è che non vengano identificate come spie, come i primi sintomi della condizione di encefalopatia”. Ma la situazione può degenerare in fretta. E nei casi più gravi si arriva anche al coma. In ogni caso il tributo in termini di qualità di vita è altissimo. “Una diagnosi precoce e tempestiva è molto importante perché può portare poi a dei provvedimenti di ordine terapeutico che sono in grado, se non altro, di rallentare la progressione di questa condizione e di prevenirne la ricorrenza”. Perché l’encefalopatia epatica è un incubo che ritorna.

“Si tratta di un’alterazione della funzione neurosensoriale dei pazienti con cirrosi epatica. E’ abitualmente una manifestazione abbastanza tardiva di malattia, ma ha la caratteristica di essere facilmente soggetta a dei nuovi episodi e quindi – evidenzia Villa – ha necessità di essere identificata e trattata in modo da riportare il paziente a una qualità di vita importante. Il motivo per cui si instaura è legato a una diminuita capacità detossificativa del fegato, che porta a un aumento dell’ammonio circolante e in più anche a delle alterazioni del sistema gabaergico”.

La prima guida per il medico “è un’accurata anamnesi del paziente”. Esami di laboratorio, come il dosaggio dell’ammoniemia, sostanziano il sospetto di encefalopatia epatica. Ci sono poi “test condotti in ambiente specializzato che verificano un non dominio delle funzioni superiori, capacità di collegamento e di memoria. Prima di trattare il paziente, esami come la Tac cerebrale servono a escludere che alla base ci sia una motivazione organica”.

Quando il quadro è chiaro è importante intervenire, ribadisce Villa. “Ci sono terapie comportamentali: una dieta equilibrata, un mantenimento della funzione intestinale – elenca l’esperta – Nel momento in cui abbiamo una situazione di encefalopatia conclamata, i provvedimenti si basano essenzialmente sull’utilizzo o di uno zucchero non riassorbibile, il lattulosio che determina una diarrea osmotica, o di un antibiotico intestinale non assorbibile, la rifaximina, che modifica la flora batterica intestinale prevenendo l’eccesso di produzione di ammonio. Quest’ultimo è estremamente ben tollerato, può essere utilizzato anche per lunghi periodi, e sul fronte dell’aderenza alla terapia le nuove formulazioni aiutano perché riducono il numero di compresse giornaliere”.

Se da un lato si registrano dunque innovazioni nel campo della gestione del trattamento e della prevenzione, “la criticità maggiore resta riconoscere l’encefalopatia epatica”, conclude Villa. Quando la condizione è conclamata “c’è necessità almeno inizialmente di un ricovero ospedaliero. Poi, una volta trattata la situazione clinicamente evidente, deve essere prevenuta la ricorrenza dell’episodio di encefalopatia che può essere molto precoce. E’ dunque importante mettere in atto delle terapie che raggiungano questo obiettivo”.

(Fonte: Adnkronos)

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