Intervista al biologo nutrizionista Marcello Virzì

Cibo e salute, “mai allontanarsi
dal codice alimentare dell’infanzia”

di valerio droga | 6 ottobre 2014 | pubblicato in Attualità
marcello virzì

Lo svezzamento è per il bambino come una prima programmazione per un computer nuovo di fabbrica: è allora che l’organismo imparerà a riconoscere i cibi da cui trarre sostentamento, tutti gli alimenti introdotti in seguito rischiano di venire percepiti come pericoli e scatenare quindi reazioni immunitarie. L’esterofilia di cui sono vittime i nostri menù è una delle cause più diffuse di nuove intolleranze e allergie alimentari.

Mai allontanarsi dal cosiddetto imprinting alimentare della primissima infanzia, dunque, non ha dubbi Marcello Virzì, biologo nutrizionista specializzato in nutrizione umana e dello sport. Qual è il rapporto fra cibo e salute, quali le malattie più diffuse, come si possono prevenire e a volte curare a tavola, perché colpiscono sempre più anche i bambini. Il rischio delle mode alimentariveganesimo in primo luogo, perché si ingrassa e quanto contano motivazione e altri fattori psicologici e come mai non viviamo oltre cento anni, qual è la dieta migliore. Questi sono solo alcuni dei temi sviscerati nel corso dell’intervista.

Quanto conta l’alimentazione nella salute umana?

“L’alimentazione per la nostra salute è senz’altro l’elemento base: essenziale in senso preventivo e comunque importantissimo anche in caso di patologie: oramai non c’è una terapia farmacologica seria che non si accompagni a una sapiente dietoterapia”.

E quali sono le malattie più comuni legate direttamente o indirettamente al cibo?

“Molte se non tutte le malattie degenerative e metaboliche hanno cause o perlomeno concause alimentari. Per intenderci, infarto, ictus, ipertensione, colesterolemia, diabete di tipo 2 sono da attribuire quasi esclusivamente a un regime alimentare squilibrato, o per eccesso o per carenza. Tra le altre malattie, tutto ciò che riguarda l’apparato osteoarticolare, innanzitutto le ernie al disco, dato che un peso eccessivo grava sulla struttura. Anche patologie quali la sclerosi multipla o la sla hanno una causa alimentare dovuta a carenza di alcuni nutrienti essenziali. Il cancro, poi, è tutto alimentazione”.

Tutto? E i fattori ambientali, l’inquinamento?

“Beh, innanzitutto gran parte degli inquinanti li introduciamo attraverso l’alimentazione e, inoltre, se non altro a parità di condizioni ambientali, una buona dieta può avere un effetto protettivo importantissimo”.

E i fattori genetici?

“La genetica può predisporre ad alcune patologie ma molto spesso viene usata come alibi: al contrario, se ci sono casi in famiglia bisogna prestare ancor maggiore attenzione a ciò che si mangia. Inoltre, il comportamento cellulare non dipende esclusivamente dai geni ma dalla loro interazione con le catene proteiche, senza dimenticare che parte di ciò che ingeriamo può avere un effetto mutageno sullo stesso dna, agendo dunque alla radice”.

Poc’anzi parlava di problemi di salute dovuti a eccesso e altri a carenza di nutrienti, non ci sono alimenti da bandire del tutto dalla tavola?

“Non c’è nulla che fa male in assoluto, tutto dipende dalle dosi, che vanno a determinare l’equilibrio biochimico, per questo la nutrizione è una scienza che va affidata a professionisti, che conoscano non solo il cibo e il corpo ma anche la biologia che li fa interagire. La scienza alimentare è biomedicina, non può cioè essere solo medicina o solo biologia. A proposito di dosi faccio un esempio. Si distingue dozzinalmente fra colesterolo buono e colesterolo cattivo, adesso stiamo tuttavia scoprendo che non tutto quello che è chiamato buono è buono e non tutto quello che viene definito cattivo è così cattivo. Il colesterolo è un precursore biochimico per gli ormoni e i sali biliari che ci consentono una sana digestione, inoltre tiene elastica la membrana cellulare, evitando un indurimento e invecchiamento precoce dei vasi sanguigni, quindi arteriosclerosi o infarti, eppure il suo eccesso li provoca”.

Qual è dunque la dieta più sana?

“Ogni dieta va calibrata sulla persona, a questo servono i nutrizionisti. Detto ciò, la tanto decantata e poco praticata dieta mediterranea è stata dichiarata patrimonio universale dell’umanità. Si fonda su pasta, ortaggi, legumi, verdura e frutta di stagione, pesce azzurro e olio d’oliva. Ha dunque carboidrati, fibre, sali minerali, vitamine, proteine vegetali e animali e grassi tendenzialmente insaturi. Mi soffermerei sulla pasta, che spesso è la prima a saltare nelle diete fai da te. La pasta, meglio del pane (che è lievitato e spesso in modo non naturale), contiene carboidrati a lento rilascio, che stimolano cioè il pancreas a produrre la sola insulina necessaria a metabolizzarli. Al contrario, i carboidrati come lo zucchero contenuto nei dolci sono una frustata per le cellule pancreatiche addette a secernere insulina, che ne producono così in eccesso”.

E questo eccesso cosa determina?

“Innanzitutto fa ingrassare, perché ha un effetto anabolizzante. Inoltre, l’eccessivo e continuato carico di lavoro cui sono sottoposte queste cellule le porta allo sfinimento e, presto o tardi, al suicidio, passando dunque da avere un eccesso di insulina nel sangue al suo opposto, con effetti iperglicemici, quindi al diabete mellito di tipo 2, che non a caso è legato all’obesità”.

Come mai questo tipo di diabete è così diffuso nel Mediterraneo, patria della dieta di cui abbiamo decantato le lodi?

“Proprio perché, come dicevo, se ne decantano le lodi ma sempre meno se ne seguono i principi”.

E se da questa dieta escludiamo le proteine animali, come fanno i vegani, che non mangiano neppure latte, formaggi e uova?

“Andiamo incontro a gravi scompensi. Purtroppo non siamo animali erbivori, neppure gli uomini primitivi avevano il rumine capace di trarre nutrimento dalla cellulosa. Non siamo neppure esclusivamente carnivori, sia chiaro. Anzi una dieta basata solo sulla carne non solo sovraccarica i reni ma fa diminuire la massa muscolare, perché senza introdurre carboidrati, l’organismo trarrà energia digerendo se stesso, cioè eventuali riserve di grasso e muscoli. In ogni caso dobbiamo far riferimento a ciò che siamo oggi: abbiamo l’enzima lattasi per digerire il lattosio, anche se l’uomo primitivo (prima che diventasse allevatore) non lo possedeva, traiamo grande giovamento dai cereali, anche se i nostri antenati non se ne dovevano nutrire. Forse in futuro i vegani svilupperanno il rumine o non so, ma in questo stadio evolutivo abbiamo bisogno di un regime alimentare che comprenda anche i grassi e le proteine di origine animale. Senza contare che i vegani introducono nel proprio organismo un quantitativo di carcinogeni più elevato rispetto agli onnivori, perché consumano più vegetali, spesso trattati con antiparassitari sistemici, che sono i più pericolosi mutageni del dna che conosciamo, a meno che di non riuscire ad avere un controllo reale su tutta la filiera di produzione”.

Ma non li introduce, seppur indirettamente, anche chi si nutre di prodotti di origine animale?

“Gli animali, come del resto l’organismo umano, hanno una capacità di tamponare, di difendersi dagli attacchi dei vari inquinanti. Quando ad esempio un tentativo di mutazione genetica sfugge al controllo si forma una cellula tumorale, che poi può essere replicata sviluppando la malattia. Possiamo dire che gli animali fanno questo lavoro per noi. Del resto dobbiamo anche ammettere che gran parte degli antiossidanti, cioè di quelle sostanze capaci di combattere i radicali liberi (responsabili dell’invecchiamento cellulare e anche di molte malattie fra cui il cancro), proviene dal regno vegetale, soprattutto frutta e verdura. Un alibi molto diffuso è che siccome siamo soggetti a agenti inquinanti è inutile provare a mangiar sano, invece, proprio per contrastarli, dobbiamo agire laddove possiamo, sull’alimentazione e lo stile di vita in generale. È la stessa stupidità con cui si proteggono i fumatori dalle critiche, però è un dato di fatto che su 100 malati oncologici 87 sono fumatori”.

A proposito di modificazioni genetiche, cosa pensa degli ogm?

“Non saranno certamente l’optimum, ma non abbiamo ancora prove che questi possano portare a alterazioni genetiche a loro volta né, di contro, che non li determino alla lunga. In ogni caso farne un discorso unico sarebbe impossibile. Quel che penso, tuttavia, è che, ad esempio, a un ortaggio trattato con antiparassitari sistemici sia da preferire un ogm sviluppato per farne a meno. Insomma, va distinto caso per caso”.

Come può il consumatore medio orientarsi per avere tutto il fabbisogno nutritivo?

“Nella varietà sta il segreto della salute: ogni alimento ha proprietà differenti, alternarli significa assumere tutto ciò di cui si ha bisogno. Ai miei pazienti dico sempre: “Mangiate colori”: in genere ogni colore possiede una proprietà. Così i vegetali giallo-arancio sono spesso ricchi di flavonoidi e betacarotene, ottimi alleati contro l’avanzata dei radicali liberi; quelli verdi sono ricchi di clorofilla e di magnesio e così via. Una bevanda che non deve mancare è poi il tè verde, il più potente anticancerogeno che noi conosciamo: bastano tre tazze a settimana per proteggersi dalla degenerazione cellulare. Si tratta di consigli di massima, poi sarà il nutrizionista a cucire su misura la dieta addosso al proprio paziente”.

Quali sono gli ‘ingredienti’ per la buona riuscita di una dieta?

“L’ingrediente fondamentale è la motivazione e la determinazione: un sano narcisismo è l’unico deterrente all’autodistruzione a cui l’età e soprattutto la società odierna ci conducono. Secondo ingrediente è la professionalità: affidarsi a una persona competente, senza interpretare soggettivamente le sue indicazioni. Purtroppo non basta un titolo per essere all’altezza: c’è qualche mio collega che delega la stesura dei piani alimentari dei pazienti al proprio computer, grazie a software sempre più sofisticati ma che mai potranno sostituire a pieno l’uomo. La dieta deve essere ad personam, io la scrivo sempre davanti alla persona stessa, dopo averla ascoltata attentamente. Terzo e ultimo ingrediente essenziale  è il movimento fisico soft, che favorisca la microcircolazione sanguigna e il movimento del sistema linfatico, in modo da irrorare e ripulire tutti i tessuti”.

Quando lei scrive un piano alimentare di cosa tiene conto?

“Certamente dello stato di salute del paziente, delle sue abitudini alimentari e anche del suo approccio alla vita, la psiche ha una grande importanza e anche il professionista di nutrizione deve conoscere dei fondamenti di psicologia, una grande capacità di ascoltare e di entrare in contatto col paziente, senza aver paura neppure di un coinvolgimento emotivo”.

E di fronte a cattive abitudini alimentari come si comporta?

“Perfino il vizio va in una certa misura assecondato, non si deve mai mortificare questa inclinazione. La privazione non solo determina una scarsa adesione al piano alimentare stilato, ma in sé e per sé fa produrre cortisolo che va a stimolare la secrezione di insulina determinando quindi un accumulo di grasso”.

Tornando sull’argomento veganesimo, come si può coniugare una dieta equilibrata con una scelta etica piuttosto rigida?

“Il professionista non può imporre una dieta né deve provare a farlo, deve anzi ascoltare, come dicevo, le motivazioni profonde del paziente e cercare di armonizzarle con le sue esigenze, trovando un compromesso il più possibile vicino al ristabilimento del suo stato di salute. A volte purtroppo alla base di opzioni alimentari rigide non c’è una vera scelta etica ma una moda ovvero una ricerca di identità, nascondendo dunque una forma di debolezza. Queste mode alimentari espongono troppo spesso a forme di intolleranze e allergie, perché allontanano dall’imprinting alimentare”.

Cosa si intende per imprinting alimentare?

“È il codice alimentare che si costituisce al momento dello svezzamento: è in quella fase che l’organismo impara a conoscere gli alimenti e quindi a riconoscerli, in futuro, come tali. Altro cibo introdotto in altre fasi vitali rischia di venire percepito come estraneo, scatenando reazioni immunitarie. Chi si allontana, dunque, dal proprio codice alimentare postnatale è ad alto rischio allergie”.

Come mai molto spesso non si riesce a perdere peso facilmente nonostante tanti sacrifici?

“Non c’è una risposta unica, va stimato il metabolismo del singolo individuo. Il metabolismo umano è il più difficile che si possa immaginare, non è qualcosa di meccanico e lineare e solo uno specialista davvero preparato è in grado di valutarlo. In generale, assegnerei comunque alla tiroide, troppo spesso incolpata ingiustamente, meno del 5 percento delle responsabilità, mentre nel restante 95 percento dei casi direi che la tendenza a ingrassare sia da attribuire all’eccesso di insulina, come abbiamo già detto. Fondamentale è dunque mirare all’abbattimento dell’indice glicemico dei pasti, sia per evitare l’eccesso di questo ormone anabolico in circolo sia per costringere l’organismo a trarre energia dal grasso depositato sia, infine, per prevenire il diabete, che si configura sempre più come una pandemia”.

E i fattori psicologici hanno anch’essi – è il caso di dire – un ‘peso’?

“Moltissimo. Il cibo ha un aspetto ludico e compensativo. Troppo spesso, soprattutto nella popolazione femminile, si cerca di compensare carenze di vario genere o sensi di colpa col cibo. Come per ogni vizio si ottiene una gratificazione momentanea, è innegabile, ma si cade vittima di un circolo vizioso autolesionistico, che genera nuovo senso di colpa destinato ad essere successivamente compensato”.

Come se ne esce?

“Bisogna trovare gratificazione nella dieta: per questo, da una parte, non va mortificato l’atto del mangiare e, al tempo stesso, bisogna mirare a obiettivi concreti che diano soddisfazione: piccoli risultati costanti sono come pietre miliari che segnano il buon cammino. Il paziente deve quindi fare molto ma da solo è difficile che ci riesca: il bravo professionista deve avere, come ho detto, la capacità e la delicatezza di ascoltarlo e motivarlo”.

Chi si rivolge oggi al nutrizionista e cosa chiede?

“La mia clientela varia dai due ai 90 anni. Purtroppo è in costante aumento l’obesità infantile e con essa le patologie un tempo tipiche dell’età avanzata: pensiamo al diabete di tipo 2, un tempo conosciuta anche come “diabete dell’adulto” ma la cui età di esordio oggi si è abbassata notevolmente. Ho riscontrato dodicenni con valori di colesterolo paragonabili a quelli di un settantenne. Purtroppo per questi bambini e ragazzi non si prospetta un futuro roseo: la farmacologia da sola non può sostenere a lungo un organismo malato e si assisterà molto presto a un crollo verticale delle aspettative di vita medie. Tuttavia, diversamente da quel che si possa pensare, sarà solo un 30 percento che viene in studio per dimagrire, sette su dieci si rivolgono a me per migliorare lo stato di salute, spesso con patologie accertate. La maggior parte delle persone che si rivolge al nutrizionista vuole, quindi, dormire meglio, eliminare il senso di stanchezza, l’irascibilità, l’insicurezza, insomma vuole migliorare la qualità della propria vita, del resto la parola dieta deriva dal greco dìaita (δίαιτα) che significa ‘modo di vivere’”.

Commenti

  1. Sonia scrive:

    Ottimo articolo, ma per avere info e recapiti tel dello studio? Ho cercato ma non ho trovato riferimenti. Grazie

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