Giovanni Abbruzzese

Parkinson: le cause, le terapie migliori e nuove frontiere della ricerca

di valerio droga | 29 novembre 2013 | pubblicato in
prof Abbruzzese

Il Parkinson non è più quella orribile malattia cui eravamo abituati: molto è stato fatto in questi anni eppure ancora tanto resta da fare. Per questo motivo fa ancora paura e i dati non ci sono di conforto: oggi la malattia di Parkinson colpisce 6,3 milioni di persone nel mondo, 230 mila solo nel nostro Paese, cifre destinate a raddoppiare entro il 2030 a causa dell’invecchiamento della popolazione. Quando si presenta, il Parkinson bussa alla porta intorno ai 60-65 anni, ma c’è un 10 per cento di pazienti che viene colpito tra i 20 e i 40 anni di età.

Per capirne di più, indagarne le cause, conoscerne le terapie attualmente a disposizione e soprattutto vedere i passi avanti compiuti dalla ricerca, abbiamo incontrato Giovanni Abbruzzese, docente ordinario di Neurologia, responsabile del Centro Parkinson del dipartimento di Neuroscienze dell’università di Genova e presidente della Limpe, la Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson.

Professore Abbruzzese, prima di entrare nel vivo dell’intervista chiariamo cos’è la malattia di Parkinson, come possiamo definirla?

“Il Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale, in cui alcune cellule cerebrali si ammalano progressivamente e muoiono. Per intenderci è simile all’Alzheimer, solo che, invece di venire penalizzati gli aspetti cognitivi, vengono colpiti i neuroni responsabili del controllo del movimento, chiamati dopaminergici, che producono la dopamina, neurotrasmettitore responsabile appunto del movimento“.

L’Italia è un Paese con un’età media sempre più elevata, il rischio Parkinson non è da sottovalutare. Quanto è importante conoscerlo ed eventualmente riconoscerlo il più presto possibile, con diagnosi tempestive?

“Abbastanza importante. Anche se tuttora non vi sono farmaci capaci di bloccare la malattia, è utilissimo potere intervenire il più presto possibile, prima che si inneschino nel cervello meccanismi naturali di compensazione che potrebbero creare ulteriori danni”.

Come si può diagnosticare? Esistono degli elementi che possano identificarlo in maniera certa?

“La diagnosi è di tipo clinico ed è data dal riscontro di alcuni sintomi, seguendo dei criteri internazionali. Non esistono tuttavia strumenti che possano dare una conferma assoluta. Ad esempio gli esami più precisi sono dati dalla medicina nucleare, che possono sottolineare una disfunzione del sistema dopaminergico, ma non possono escludere altre patologie ‘cugine’ del Parkinson, chiamate parkinsonismi, che peraltro non rispondono alle stesse cure ma hanno una evoluzione più rapida. Inoltre, ma sempre più raramente, il Parkinson può venire confuso con altri problemi della salute con sintomatologia analoga, quali la depressione o i semplici disturbi di vecchiaia, come il tremore”.

A questo proposito, nel diciannovesimo secolo il dottor James Parkinson definì la malattia come “paralisi agitante”, il tremore però non sempre è presente, o sbaglio?

“Esattamente, in realtà il tremore è presente solo nel 50-60 per cento dei pazienti. Inoltre, non sempre ciò che produce tremore è indice di questa malattia: ad esempio il tremore parkinsoniano avviene solo in stato di riposo. A volte la diagnosi definitiva è data dalla risposta alla levodopa: se è positiva allora si tratta di Parkinson, altrimenti bisogna indagare oltre. Esiste una forma rigida di Parkinson e una forma tremante, ciò che le accomuna, che cioè è sempre presente, è la bradicinesia, cioè la lentezza dei movimenti. Il tremore, per altro, è quasi un sintomo benigno, perché è indice di una prognosi più lenta”.

Esistono dunque più forme di Parkinson?

“In effetti dovremmo parlarne al plurale. Al di là delle sindromi parkinsoniane secondarie o parkinsonismi, di cui ho già accennato, all’interno della denominazione Parkinson esistono varie malattie. Ad esempio, come abbiamo visto, vi sono forme giovanili, forme tremanti e forme rigide”.

Questo significa che le cause possono anche essere diverse?

Sulle cause della malattia non c’è ancora una definizione precisa. Si pensa che all’origine del Parkinson vi sia un accumulo di proteine all’interno delle cellule, che generano una sorta di intossicazione. Sto parlando in particolare della proteina alfa-sinucleina, che infatti funziona da marcatore per questo tipo di malattia, cioè la sua presenza nelle cellule in questione aiuta nella diagnosi neuropatologica. Tuttavia, il motivo per cui questa proteina non venga smaltita dai neuroni può avere origini diverse e non ancora chiarite: possono esservi ad esempio cause genetiche, soprattutto per le forme giovanili, probabilmente anche cause ambientali e forse persino tossiche“.

Non essendo definitive le cause né i sintomi, come si può agire sulla prevenzione, se si può?

“Proprio per queste ragioni non si può fare molto sul piano della prevenzione, mentre sempre di più sul piano della diagnosi tempestiva, come si è visto. In certi casi alcuni disturbi che spesso si accompagnano alla malattia possono manifestarsi in anticipo, si parla in questi casi di sintomi premotori. Fra questi, depressione, disturbi del sonno e perdita dell’olfatto, ma si intuisce bene che non si possa fare una diagnosi sulla base di questi soli elementi, visto che non sono esclusivi del Parkinson. Esistono tuttavia dei suggerimenti utili che dovrebbero potere rendere più difficile l’insorgere della malattia. Si tratta di consigli di vita quotidiana che possono arrecare comunque benefici a ogni persona: una vita attiva, esercizio fisico, movimenti ritmici, come il ballo, e un’alimentazione ricca di sostanze antiossidanti, come frutta, verdura e germogli freschi, possono solo fare bene e favorire il corretto metabolismo cellulare”.

Dalla prevenzione alla diagnosi alle cure. Quali sono attualmente le terapie in uso?

“La terapia farmacologica è quella più diffusa. La levodopa (o L-dopa) è ritenuto il farmaco più efficace, ma dopo alcuni anni induce fluttuazioni nella risposta clinica e la possibile comparsa di movimenti involontari. Agisce indirettamente, stimolando nel cervello la produzione di dopamina. Altra cosa sono i farmaci dopamino agonisti, che agiscono direttamente, con una durata maggiore nel corso della giornata ma una efficacia inferiore. Di solito si prediligono questi ultimi per i pazienti più giovani, sia perché questi danno una risposta migliore sia anche perché hanno un’aspettativa di vita superiore”.

Se nel tempo la levodopa genera effetti collaterali e un’assuefazione è il caso di posticiparne l’assunzione?

“Assolutamente no, sia perché non si tratta di vera e propria assuefazione sia per i motivi già detti è sempre meglio cominciare il prima possibile la terapia. Comunque sia, bisogna valutare caso per caso la terapia migliore e per farlo occorre affidarsi a neurologi specializzati che sappiano muoversi nel migliore dei modi, somministrando il cocktail di farmaci più adeguati all’età, alla fase evolutiva della malattia e alla risposta del paziente, non esiste una cura standard“.

Al di là della terapia farmacologica esistono altri approcci validi? Penso al trapianto, alla ricerca sulle staminali e alla chirurgia.

“Trattandosi di un numero di cellule cerebrali abbastanza ristretto si è pensato che il trapianto di cellule della sostanza nera potesse fornire buoni risultati. Gli studi hanno dimostrato che i casi di rigetto erano molto bassi ma il risultato definitivo non soddisfacente, nel senso che i sintomi sono permasi. Quanto alla sperimentazione sulle staminali, benché si siano alimentate grandi speranze, allo stato attuale non sembra fornire una vera risposta per le malattie neurologiche di tipo degenerativo, mentre ha dato un esito buono per quelle di natura infiammatoria. Gli esiti più interessanti sono dati, invece, dalla chirurgia. Da 20-25 anni è stata affinata una tecnica di intervento neurochirurgico non invasiva, che non comporta cioè né lesioni né asportazioni e perciò reversibile. Si chiama dbs (deep brain stimulation) o stimolazione cerebrale profonda. Consiste nell’inserimento di microelettrodi all’interno del tessuto cerebrale, collegati a un elettrostimolatore simile al pacemaker. Gli effetti sono benefici sul controllo motorio e sulla riduzione del ricorso ai farmaci. Purtroppo non può essere applicato su tutti i pazienti, ma solo a un 5-10 per cento di casi: esistono dei criteri molto selettivi che escludono i soggetti più anziani, quelli con patologie secondarie e con disturbi cognitivi. Inoltre, trattandosi di un intervento molto costoso, in tempi di spending review, il ricorso a operazioni così costose diventa marginale. A ogni modo, se in una fase iniziale di sperimentazione, come è normale, venivano destinati alla sala operatoria i soggetti in stadi avanzati della malattia, che vi convivevano cioè da oltre 15 anni, oggi si tende sempre più a interventi precoci, intorno ai 5 anni dalla comparsa dei primi sintomi”.

La ricerca oggi quindi dove è indirizzata?

“Come accennavo prima, se la causa secondaria della malattia è data dall’accumulo della proteina nei tessuti neuronali, la ricerca scientifica oggi è orientata in due direzioni: da una parte riuscire a proteggere i neuroni da cause primarie ambientali o genetiche che possano indurle a questo accumulo patologico, dall’altra riuscire a stimolare il normale smaltimento e ricambio della proteina nel momento in cui dovesse avvenire l’accumulo”.

Che consigli può dare a chi scopre di avere il Parkinson o a chi vi convive già da tempo?

“La prima cosa da fare è accettare la malattia: accettarla non significa subirla ma imparare appunto a conviverci. Si tratta di una patologia invalidante ma non mortale e che può essere gestita. Occorre naturalmente affidarsi a un centro specializzato nel Parkinson. Il supporto della famiglia, poi, è anch’esso fondamentale. La cosa importante è quindi non darsi per vinti, continuare a condurre la propria vita, in particolare nel caso di soggetti giovani. Mi riferisco alle attività fisiche più indicate, alla cura delle relazioni sociali e al proseguimento delle normali attività cognitive“.

Per approfondimenti: www.limpe.it.

Commenti

  1. giorgio leonardo scrive:

    ci sono novità su nuovi farmaci.!.?
    grazie Leonardo Giorgio(buon Natale)

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