Coronavirus

La storia di Giusy: bloccata in Sicilia
in attesa del tampone

di oggisalute | 29 aprile 2020 | pubblicato in Attualità
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Bloccata in Sicilia in attesa del tampone, dopo 14 giorni di isolamento domiciliare e senza sintomi di Covid-19. È la storia di Giusy Taormina, tornata il 4 aprile in aereo da Roma, dove vive e lavora, a Palermo “per una grave emergenza familiare, attestata nell’autocertificazione. Ho subito fatto la segnalazione e mi sono messa in quarantena, pensavo di rientrare a Roma dopo i 14 giorni richiesti. Ma per dichiarare concluso l’isolamento fiduciario domiciliare, bisogna sottoporsi al tampone e avere i risultati”, racconta Giusy all’Adnkronos Salute, rimasta impigliata nelle maglie dell’ordinanza adottata il 20 marzo dalla Regione Sicilia anche per mettersi al riparo da un’eventuale ondata di contagi legata ai massicci rientri dal Nord.

Nell’Italia che combatte il coronavirus, i tamponi sono presto diventati la questione delle questioni. Non si fanno agli asintomatici, non lo prevedono le indicazioni nazionali e internazionali. E secondo tante testimonianze, spesso non si fanno nemmeno ai sintomatici, ai familiari, ai contatti stretti. I laboratori sono saturi, mancano i reagenti. Ma la comunicazione del Dipartimento di prevenzione dell’Asp di Palermo è chiara: “La informiamo che come da ordinanza n° 7 del 20 marzo 2020, tutti i soggetti rientrati da fuori dopo il 14 marzo devono effettuare, a termine isolamento, il tampone e non possono ultimare l’isolamento fino alla refertazione dello stesso. Sarà contattata dal suo distretto di appartenenza per l’esecuzione del tampone, compatibilmente alle lunghe liste di attesa”, recita la mail ricevuta da Taormina il 14 aprile.

Dal “distretto di appartenenza, relativamente alla sede in cui ha posto il suo domicilio in questo periodo di quarantena”, che avrebbe appunto dovuto contattare Taormina al termine dell’isolamento domiciliare, ancora non è arrivata la convocazione per sottoporsi al tampone. “E io resto a casa”, commenta lei rassegnata.

Tutto comincia il 4 aprile, quando “per una grave emergenza familiare mi sono trovata costretta, mio malgrado, a rientrare a Palermo. Per evitare rischi di contagio vado in aeroporto con la mia macchina, vestita come un astronauta: mascherina, guanti, occhiali, cappello. Evito qualsiasi contatto ravvicinato. Mostro l’autocertificazione e passo i controlli di polizia a Fiumicino”. All’aeroporto di Punta Raisi, a Palermo, “dove mi hanno misurato la temperatura, supero un altro controllo di Polizia con vidimazione dell’autocertificazione. Arrivo finalmente a casa e mi metto in isolamento. Da sola, in un appartamento diverso da quello dei miei genitori”.

“Pensavo di aver già compiuto il mio dovere di cittadino responsabile in tempi di Covid – prosegue – avendo fornito tutte le informazioni alla Polizia, ma collegandomi al sito del ministero della Salute apprendo che bisogna segnalarsi. Ecco allora che compilo online una scheda della Protezione civile, molto chiara e ben fatta, per autodenunciare nuovamente la mia posizione. Poi mi registro sul sito della regione Sicilia e su quello del Comune di Palermo”. E ancora, “mando una mail al Dipartimento di sanità e mi registro sul sito ‘Sicilia si cura’, dove ho l’obbligo di essere geolocalizzata e di comunicare due volte al giorno il mio stato di salute. Non tralascio nemmeno di dare comunicazione al mio medico di base che si trova a Roma, essendo li domiciliata per lavoro. Io ho fatto tutta la trafila, ma mi chiedo quanti abbiano l’accortezza di cercare ed espletare tutte queste procedure”.

Trascorrono i 14 giorni di isolamento domiciliare, Giusy ha parecchio tempo libero, ne approfitta anche per confezionare mascherine di stoffa colorata. “Continuo a stare bene, non ho sintomi ‘sospetti’, ma so che, secondo disposizione della Regione Sicilia, dovrò essere lo stesso convocata per fare il tampone. All’avvicinarsi della fine dell’isolamento, mando una mail all’Asp per chiedere informazioni – racconta – comunicando che a novembre scorso ho fatto il vaccino antinfluenzale e da allora non ho avuto mai febbre o alcun sintomo influenzale. In sostanza, visto il mio pieno benessere fisico, chiedo se può bastare un’autocertificazione. La risposta, rapida e gentile, resta che ‘come da ordinanza n° 7 del 20 marzo 2020, non si esce dall’isolamento domiciliare senza effettuare il tampone e avere i risultati'”.

“E così – contesta Taormina – mi trovo sequestrata in questa regione, tanto attenta alla salute dei cittadini da esasperare le procedure di contenimento del contagio sprecando tamponi preziosi, in totale assenza di valutazione dei casi. Non posso far altro che attendere, chissà fino a quando: altre persone nelle mie condizioni, mi dicono che stanno aspettando il tampone da 15 giorni, altri che l’hanno fatto riferiscono che mediamente passano ulteriori 10 giorni per avere l’esito”.

“Verosimilmente per fine maggio sarò rimessa in libertà – sospira – seppur limitata. E potrò riprendere un volo per Roma, dove dovrò rimettermi in isolamento prima di poter ritornare in ufficio. Sarò fuori da questa trafila a metà giugno”. Per lei nulla cambierà nemmeno dopo il 4 maggio, quando si allenterà il divieto agli spostamenti, con la possibilità di vedere i congiunti o fare attività fisica. “La cosiddetta fase 2 non mi riguarderà perché il presidente della regione Sicilia ha già dichiarato che resteranno immutate le procedure per chi arriva da fuori regione”.

(Fonte: Adnkronos)

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