Giornata mondiale senza tabacco

Sigarette elettroniche, consumi dimezzati
E decuplicano le richieste per smettere di fumare

di valerio droga | 30 maggio 2014 | pubblicato in Prevenzione
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Ricordate la sigaretta elettronica? Ricordate i negozi specializzati che nascevano come funghi in autunno? Bene, in effetti sembra sia soltanto un ricordo, il mercato di questo “oggetto” si è fortemente contratto. Nel giro di un anno, dal 2013 al 2014, gli utilizzatori sono passati dal 4,2 all’1,6 percento della popolazione.

GIORNATA MONDIALE SENZA TABACCO
Nello specifico, chi la usava abitualmente era l’1% (circa 510 mila persone) e oggi solo lo 0,5%, mentre i consumatori occasionali sono scesi da 1,6 milioni a 550 mila, vale a dire dal 3,2 all’1,1%. I dati sono frutto di un’indagine condotta dall’Istituto superiore di sanità in collaborazione con l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e sono stati resi noti in anticipo in occasione della Giornata mondiale senza tabacco che si celebrerà domani. Emerge che l’età media del “fumatore elettronico” è di 42 anni, per due terzi uomini e quattro su dieci evitano del tutto la nicotina, utilizzando le ricariche con solo vapore e aromi.

CON LA CRISI IL FUMO È SEMPRE PIÙ UN LUSSO

Che si sia stata solo una moda passeggera? Tra moda e vizio la differenza è sostanziale e in questo caso anche drammatica: il surrogato elettronico non basta. Non solo l’1,7% dei fumatori elettronici dichiara di aver aumentato le sigarette tradizionali ma il 12,1% ha iniziato a fumare sigarette “in carta e tabacco” senza averlo fatto prima, in altre parole per oltre uno su dieci l’e-cig avrebbe fatto da apripista per entrare nel fumoso mondo dei dipendenti da tabacco! Alla base del ritorno alla sigaretta tradizionale potrebbero esserci anche motivi economici, gli stessi che hanno fatto raddoppiare  i consumatori della sigaretta fai da te, che acquistano cioè il tabacco sfuso, e aumentare le vendite di marchi di sigarette più economiche. Nel complesso i fumatori italiani sono 11,3 milioni, il 22% della popolazione. Sale leggermente il numero delle donne fumatrici mentre è stabile quello degli uomini.

AUMENTANO LE RICHIESTE DI AIUTO MA CHIUDONO I CENTRI ANTIFUMO
Il dato che caratterizza quest’ultimo anno è però il numero di italiani intenzionati a smettere. Dopo la stampa del numero verde contro il fumo (800.554.088) dell’Iss sui pacchetti di sigarette si è decuplicato il numero di persone che chiedono informazioni e sostegno per dire stop al fumo: tra gennaio e aprile 2013 erano state registrate 286 telefonate, negli stessi mesi del 2014 si è arrivati a oltre duemila.

A fronte di questo aumento di richieste di aiuto c’è però un dato sconfortante: i centri antifumo vanno chiudendo: dai 396 del 2011 si è passati a 354: “I centri chiudono per mancanza di fondi – spiega Biagio Tinghino, presidente della Società italiana tabaccologia – Il problema è che in Italia il tabagismo non è riconosciuto come dipendenza e quindi non rientra nei livelli essenziali di assistenza”. Per questa ragione sono sempre più gli ospedali che, “per far quadrare i conti – aggiunge Tinghino – hanno iniziato a far pagare direttamente ai pazienti le visite presso i centri antifumo o li chiudono”. Anche i surrogati di nicotina, come i cerotti, le gomme e le pillole sublinguali, non sono rimborsati dal servizio sanitario, come ad esempio in Gran Bretagna, ma vanno acquistati di tasca propria.

AUMENTARE LE TASSE PER DIMINUIRE I CONSUMI
La proposta è quella di aumentare le tasse sulle sigarette e reinvestire il gettito prodotto in azioni di assistenza a chi vuol dire basta al fumo. È questo il tema scelto per l’edizione di quest’anno. In effetti, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, sono pochi i Paesi in cui il sistema di tassazione è sufficientemente alto da scoraggiare il consumo di tabacco. “L’Italia – afferma Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri – su questo fronte è indietro: siamo al 15esimo posto in Europa per le tasse sulle sigarette e ancora più giù per quanto riguarda quelle sul trinciato (il tabacco sfuso, ndr)”. Tasse troppo basse, dunque, Garattini non ha dubbi: “Il nostro Stato è ambiguo, perché se diminuisce il consumo di tabacco si riducono gli introiti del Monopolio. Tuttavia se aumentasse di un euro il prezzo del pacchetto di sigarette calerebbero le vendite ma le stime effettuate riportano che in ogni caso gli introiti pubblici verrebbero compensati dal fatto di aver aumentato il prezzo. Senza considerare quanto si risparmierebbe sul fronte del servizio sanitario nazionale, con un numero minore di malattie legate al fumo“. Tasse più alte se sono un deterrente per tutti in tempi di crisi, avrebbero un effetto ancora superiore sui più giovani, che sarebbero ancora più scoraggiati a iniziare sia perché dispongono in genere di budget ridotti e sia perché in loro il vizio non ha ancora preso forma.

USARE IL GETTITO PRODOTTO PER RICERCA, CAMPAGNE INFORMATIVE E ASSISTENZA
GarattiniRoberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio fumo alcol e droga dell’Iss, sono poi concordi sulla destinazione che si potrebbe dare al gettito prodotto: “Almeno una parte delle tasse incassate dallo Stato sulla vendita di tabacco – dicono – andrebbe destinata per la ricerca contro i danni da fumo e per campagne pubblicitarie antifumo” e, aggiunge Tinghino, “una parte delle accise sui prodotti da fumo dovrebbe essere destinata anche a sostegno dei centri antifumo, che sono oggi in enormi difficoltà finanziarie e rischiano di chiudere per problemi burocratici e di mancati rimborsi economici”.

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