Farmaci

Carcinoma spinocellulare,
svolta dall’immunoterapia

di oggisalute | 19 settembre 2019 | pubblicato in Attualità
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“Quando lo scopri ti dicono solo che è un tumore della pelle. Non ti dicono che può essere molto di più”: aggressivo, invasivo, deturpante, mortale. Patrizia, 61 anni, fa parte di quella piccola quota di pazienti che il carcinoma cutaneo a cellule squamose (Cscc, o spinocellulare), 11 mila casi l’anno stimati in Italia, non riescono a estirparlo con la chirurgia o la radioterapia. Per questi malati, 3 su 100, il Cscc progredisce in forme localmente avanzate o metastatiche. Sopravvivenza media inferiore ai 2 anni. Almeno in passato, perché a luglio l’Agenzia europea del farmaco Ema ha approvato la prima immunoterapia mirata alle forme più difficili di Cscc. Per gli esperti “una vera e propria svolta”, attesa anche in Italia dove è ancora in corso la negoziazione con l’Aifa.

Se n’è parlato a Milano durante un incontro promosso da Sanofi Genzyme, che con Regeneron ha sviluppato l’anticorpo monoclonale anti Pd-1 cemiplimab. “Toglie il freno che il tumore ha messo sul sistema immunitario, lasciando libero l’acceleratore delle naturali difese dell’organismo”, è la metafora usata da Paolo Bossi, professore di oncologia medica all’università di Brescia. Gli specialisti ci tengono a “non fare terrorismo”, a chiarire che “nel 97% dei casi il Cscc è ben gestibile e curabile”. Ma nel 3% no ed è per questi pazienti che “c’è urgenza d’azione”, sottolinea Iris Zalaudek, direttrice della Clinica dermatologica dell’azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, presidente dell’International Dermoscopy Society.

È per loro che “oggi mancano protocolli standardizzati”, evidenzia la specialista che insieme a Bossi siede nel comitato multidisciplinare impegnato ad aggiornare le linee guida nazionali sul tema in seno all’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica). Perché quando dopo la chirurgia e la radioterapia il cancro torna, e dopo un nuovo intervento ritorna ancora e poi ancora, “nel 60% dei casi non si fa più niente”. A volte non si può, altre non può più sopportarlo il malato: “Di nuovo sotto i ferri per la terza volta no”, dice Patrizia in un video di Elma Research che racconta le storie di alcuni pazienti. Persone che il male sfigura soprattutto su viso, orecchie, collo, braccia e gambe, e che ora possono tornare a sperare.

“Esposizione al sole, magari cronica per ragioni professionali; fototipo chiaro; età superiore ai 40 anni”. Sono questi, ricorda Zalaudek, i fattori di rischio principali per il carcinoma cutaneo a cellule squamose, secondo tumore della pelle non melanomatoso per incidenza (“in Italia è compresa fra 5 e 96 casi su 100 mila”, ma “è molto sottostimata” e “cresciuta del 263% dagli anni ’80 ai 2000”), primo per mortalità. Come sempre, contro il cancro e non solo, le parole d’ordine sono “prevenzione e diagnosi precoce”, perché “grazie alla dermatoscopia è possibile individuare la malattia anche nelle fasi in cui non si vede a occhio nudo”. Bisogna parlarne, ammonisce l’esperta. Se “il messaggio sta passando per il melanoma, sul Cscc resta molto da fare”.

“Nell’80% dei casi il tumore insorge su zone cutanee molto visibili”, osserva Bossi. La malattia pesa dunque anche sulla sfera estetica e psicologica, accompagnandosi a vergogna, crollo dell’autostima, ansia e isolamento sociale. Senza contare che nelle fasi avanzate “aumentano i ricoveri e quindi i costi per il Servizio sanitario nazionale”.

Le buone notizie però ci sono: volendo fare un paragone tecnologico, il progresso scientifico ha permesso di passare nelle forme non risolvibili con la chirurgia “dal telefono a rotella (la chemioterapia) – esemplifica l’oncologo – alla ‘mattonella’ anni ’90 (i farmaci target, al bersaglio) fino allo smartphone (l’immunoterapia)”. Da “risposte non durevoli, ottenute in percentuali basse di pazienti”, si è arrivati a “risposte rapide (meno di 2 mesi) e prolungate (un anno e mezzo) nella maggioranza dei malati”.

Insomma “una rivoluzione”. Ma quanto costerà al Ssn? Di fronte a una nuova cura, risponde Francesco Saverio Mennini, professore di economia sanitaria all’università di Roma Tor Vergata, “dico sempre che la domanda giusta non è ‘quanto costa?’, bensì ‘quanto costerebbe non utilizzarla?'”. Ebbene, “i risultati di un’analisi dell’Economic Evaluation and Hta (Eehta-Ceis) indicano per ogni paziente con Cscc avanzato costi medi stimati in 3.319 euro all’anno: il 36% in più rispetto a un paziente con Cscc resecabile chirurgicamente (2.175 euro l’anno). Oltre mille euro di differenza”.

Ecco quindi che “una corretta identificazione e un costante monitoraggio della patologia – ragiona l’economista – consentirebbero una gestione precoce dei pazienti, così da poterli curare con trattamenti innovativi ed efficaci in grado di migliorare la loro salute e permettere al Ssn di gestire i costi nel tempo”.

Avverte Mannini: “In sanità il punto di partenza non dovrebbe essere l’economia, ma l’epidemiologia e i bisogni dei pazienti”, tanto più sul fronte tumori che rappresentano “la seconda causa di morte e la prima causa di anni di vita persi per disabilità o morte prematura. Basta ragionare per ‘silos’ sulla spesa farmaceutica o su quella sanitaria: le valutazioni vanno fatte in un’ottica di strategia globale. Bisogna superare la logica del prezzo: prezzo – conclude il docente – non vuol dire costo. Il costo va sempre messo in relazione all’efficacia”.

(Fonte: Adnkronos)

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