Terapie tagliate su misura e nuovi farmaci contro l’emofilia

di oggisalute | 27 febbraio 2017 | pubblicato in Attualità
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Una missione: impedire la cascata di eventi che porta al danno irreparabile. E allontanare l’incubo delle emorragie continue, per garantire un’infanzia normale, come quella degli altri bambini, e una vita adulta attiva, alle persone affette da una delle malattie rare più frequenti: l’emofilia, che può essere congenita o meno comunemente acquisita, ma colpisce duro. Un nome, più facce della stessa medaglia. Negli anni gli specialisti hanno affilato le armi. E oggi la parola chiave per tenere a bada il nemico è: personalizzazione delle terapie che vengono modulate e tagliate sempre più su misura per ciascun paziente e il suo stile di vita.

In gioco c’è la capacità di movimento dei pazienti. L’emofilia è dovuta al deficit di uno dei fattori di coagulazione del sangue, l’VIII nell’emofilia A che colpisce uno su 5.000 maschi nati vivi, e il IX nell’emofilia B che si accanisce su uno ogni 30.000. Stessa manifestazione clinica, stessa trasmissione genetica, legata al cromosoma X (le donne sono portatrici del difetto, mentre quasi esclusivamente i maschi vengono colpiti). La malattia può manifestarsi in forma grave, moderata o lieve a seconda dell’entità di questa carenza. E nei casi più severi le emorragie sono spontanee, anche in assenza di trauma, e la diagnosi arriva immancabilmente in tenera età. Basta un emartro (sangue che si raccoglie nella cavità di un’articolazione) per innescare una catena che porta a danni irreversibili. Quando l’artropatia peggiora si può arrivare fino al blocco articolare e alla perdita di mobilità.

“L’obiettivo per noi specialisti è proteggere le articolazioni. E per questo nei bimbi la terapia va cominciata entro i 2 anni, anche se è difficile per un bambino convivere con una quotidianità fatta di punture venose. Si garantisce così un’attività fisica normale e una situazione migliore da adulti”, spiega Maria Elisa Mancuso, ematologa del Centro di emofilia e trombosi ‘Angelo Bianchi Bonomi’ di Milano, oggi durante un incontro dedicato alle malattie rare e organizzato con il contributo di Shire nel capoluogo lombardo.

Oggi, sottolinea l’esperta, “la terapia sostitutiva è efficace e sicura. Il fattore mancante lo diamo per via endovenosa con cadenze frequenti, perché i fattori dopo un certo numero di ore vengono smaltiti”.

Il trattamento è al bisogno o in profilassi, strategia quest’ultima che “punta alla prevenzione della malattia. La ratio è trasformare la forma grave in lieve – approfondisce Mancuso – Le infusioni vengono ripetute, secondo l’emivita del fattore, per mantenere un livello misurabile che consenta un’attività senza emorragie. Non c’è un regime standard, ma in genere si viaggia su 2-3-4 infusioni a settimana”, a seconda della gravità e del tipo di emofilia, A o B. “Se il livello del fattore va mantenuto più alto, si aumenta la dose o il numero di infusioni. C’è la possibilità di personalizzare la profilassi, facendo il dosaggio e aggiustando il regime terapeutico per raggiungere un livello che sia ottimale per il paziente e il suo stile di vita, più o meno attivo”.

La terapia sostitutiva “non è invece possibile per l’emofilia acquisita”, che è molto più rara (1,5-2 casi l’anno ogni milione di abitanti) ed esordisce intorno ai 70 anni con un’alta mortalità o ancora più raramente nella sua forma post-partum in giovani donne. “C’è però un nuovo farmaco a base di fattore VIII ricombinante porcino, che è simile a quello umano, ma ha il vantaggio di non essere riconoscibile dagli anticorpi. Possiamo inoltre monitorare la risposta in laboratorio”, conclude la specialista.

(Fonte: Adnkronos)

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