Lo psicodermatologo è un medico che non si ferma alla 'superficie' delle malattie

Mente e corpo, cos’è la Psicodermatologia?
Intervista ad Anna Graziella Burroni, presidente Sidep

di valerio droga | 5 marzo 2014 | pubblicato in Curarsi naturalmente,Prevenzione
burroni_foto

Psiche e corpo sono in continuo e complesso dialogo e sempre più numerose sono le patologie e i disturbi fisici che vengono legati alla sfera psichica. Oggi parliamo di problemi della pelle dal punto di vista della psicodermatologia e lo facciamo con Anna Graziella Burroni, presidente della Società italiana di dermatologia psicosomatica (Sidep) e specialista in Dermatologia e malattie veneree nell’azienda ospedaliera universitaria San Martino di Genova.

Prima di definire la psicodermatologia credo sia importante capire cosa sia la pelle: può essere intesa come un semplice vestito che ricopre il nostro corpo?

“No, la pelle è un organo complesso, il più esteso del nostro corpo, al quale chiediamo moltissimo: deve assolvere a tantissime funzioni e lo deve fare bene, in silenzio. La pelle serve infatti da barriera dal mondo esterno, come protezione fisico-chimico-biologica e come difesa immunitaria, ma è anche un mezzo di comunicazione, sia in entrata, essendo un organo di senso tattile, termico e dolorifico, sia in uscita, dato che attraverso di essa il corpo si mostra al mondo esterno. È testimone del passare del tempo attraverso le rughe o le macchie della senilità, rivela le emozioni (pensiamo alle paure che fanno impallidire o accapponare la pelle o l’imbarazzo che fa arrossire), diventa luogo di stigmatizzazione quando si ammala. Infine assolve a tutta una serie di altre funzioni: è un laboratorio chimico, sintetizzando la vitamina D grazie ai raggi solari, secerne sostanze di rifiuto attraverso le ghiandole sudoripare, aiuta a regolare la temperatura corporea e funge da deposito energetico grazie al tessuto adiposo”.

È dunque qualcosa di molto più complesso di quel che sembra?

“Complesso e stratificato. Del resto è anche il primo apparato di senso che si sviluppa nell’essere umano e che lo mette in comunicazione con il mondo, intrauterino prima ed esterno poi. Attraverso le stimolazioni tattili della primissima infanzia si comincia a costituire la percezione della propria identità, corporea prima e psichica poi: la pelle, infatti, invia continuamente una quantità enorme di messaggi alla corteccia cerebrale”.

Ecco, malattie della pelle o semplici inestetismi, agendo sull’immagine di sé, possono creare disagi interiori e relazionali, ma è anche vero che, simmetricamente, sulla pelle si manifestano stress e altri problemi emotivi e psicologici. Per curare una malattia dermatologica è quindi sempre necessario andare oltre la ‘superficie’?

“Proprio così, c’è uno scambio bidirezionale tra psiche e pelle. Se da una parte abbiamo molte malattie psicosomatiche, che si rivelano nel corpo ma derivano dalla psiche, abbiamo anche malattie somatopsichiche, che derivano da fattori ambientali, tossici o genetici e hanno ricadute sull’equilibrio psichico. Un esempio tipico è la psoriasi, la quale ha un’origine di natura genetica ma può incidere sull’immagine di sé. Attenzione, non è nulla di nuovo, già Platone sottolineava come l’errore di molti medici fosse proprio la separazione tra anima e corpo: tutte le malattie, in fin dei conti, sono bicomponenti”.

Dunque in cosa si differenzia la psicodermatologia dalla dermatologia tradizionale?

“Quest’ultima è più pragmatica e diretta, noi preferiamo indagare ulteriormente, come in un’inchiesta giudiziaria, collegando fattori apparentemente scollegati. Ad esempio un semplice prurito può celare qualcosa di più complesso, può essere la modalità di espressione di un disturbo della psiche. La pelle, a differenza di altri organi che pure risultano il terreno fertile su cui scaricare tensioni non elaborate mentalmente, come il cuore, lo stomaco o l’intestino, risulta l’organo privilegiato perché immediatamente visibile”.

La pelle diventa dunque il palcoscenico sul quale esprimere i propri stati emotivi e tensioni psicologiche?

“L’incapacità di esprimere il proprio sé si scarica spesso sulla pelle, luogo di comunicazione involontario per eccellenza. Fin dalle sue origini, negli anni Settanta, questa scienza medica ha prestato, non a caso, molta attenzione all’alessitimia, ovvero l’incapacità di descrivere verbalmente le proprie emozioni. In effetti nelle personalità alessitimiche si è riscontrato il substrato più fertile per questo genere di problemi della pelle”.

Quali sono le malattie e i disturbi della pelle maggiormente attribuibili a cause psichiche e quali i disturbi psichici o emozionali che si manifestano più comunemente sulla nostra cute?

“Fra tutte le malattie psicosomatiche e somatopsichiche che riguardano la pelle occorre fare una sorta di classifica a tre livelli. Si va da un livello più grave, in cui riscontriamo dermatiti autoprocurate derivanti da vere e proprie patologie psichiatriche, come la sindrome di Morgellons, a un livello molto più lieve e diffuso che comprende problemi come l’alopecia, la vitiligine, l’acne e quasi tutta la dermatologia genetica. In mezzo ci sono quei problemi dermatologici collegati a una componente comunque psichiatrica, come ansia, depressione o stress, ad esempio la dermofobia, che ci fa vedere con difetti superiori a quelli reali”.

Uno psicodermatologo di quali strumenti e tecniche si serve per curare la pelle?

“Lo strumento privilegiato è senz’altro il medico e il tempo che dedica al paziente, quindi l’anamnesi, ovvero l’ascolto. Vi sono anche altri strumenti più pratici, come le psicometrie, che però sono utili più che altro nella ricerca, nel fotografare e misurare cioè situazioni di disagio psicologico, relazionale e di qualità della vita in generale. Alle domande prestampate è più facile mentire che al medico, per il quale anche un silenzio o un’esitazione a rispondere sono indice di qualcosa difficile da esprimere, quindi risposta essa stessa. Se le psicometrie hanno rilievo dal punto di vista statistico e di ricerca, la medicina narrativa dà ottimi risultati sul fronte clinico, di cura effettiva del singolo paziente, che passa necessariamente dalla sua comprensione. Fondamentale è per esempio l’autodiagnosi, cioè le cause alle quali il soggetto tende ad attribuire i propri disturbi dermatologici, che si tratti di stress, di difficoltà familiari o traumi di diverso tipo”.

La relazione medico-paziente è dunque centrale?

“Come nella psicoanalisi si parla di transfert e controtransfert, anche noi teniamo in grande considerazione il rapporto che si viene a instaurare tra i due attori in gioco, alle emozioni che prova il medico in risposta alle emozioni espresse dal paziente nel corso del colloquio. Siamo convinti che l’approccio del medico sia parte integrante del processo di guarigione. Purtroppo non sempre il paziente si sente accolto e compreso o anche semplicemente ascoltato e quindi si assiste al cosiddetto “nomadismo dermatologico”, vagando da un medico a un altro, prenotando diverse visite, con uno spreco di tempo e denaro pubblico non indifferente, oltre a un aggravamento della situazione del paziente”.

Sembra quasi che il lavoro dello psicodermatologo si sovrapponga a quello dello psicanalista, dove sta la differenza?

“C’è sicuramente un’area di contatto ma lo psicoterapeuta si occupa anche di problemi che non necessariamente riguardano la pelle e, d’altra parte, lo fa comunque da un punto di vista non medico. Lo psicodermatologo è infatti innanzitutto un medico, un dermatologo e, come tale, sta attento alla sintomatologia organica, utilizzando gli stessi strumenti diagnostici della dermatologia tradizionale, col valore aggiunto di dare gran peso alle parole, avvalendosi anche delle conoscenze psichiatriche per ciò che concerne la diagnostica psicopatologica, senza per questo sovrapporsi allo psicoterapeuta, a cui a volte inviamo i nostri pazienti”.

In termini di prevenzione esistono pratiche o anche atteggiamenti che è consigliabile adottare per evitare complicanze?

“Quando parliamo di prevenzione non possiamo non pensare alla pediatria, perché è nell’infanzia che comincia a delinearsi l’immagine corporea. Dal comportamento e atteggiamento del bambino si possono capire tante cose, come ad esempio il tipo di genitori che hanno alle spalle. È molto importante quindi dotare i pediatri di queste competenze per indirizzare eventualmente i propri pazienti a uno specialista in psicodermatologia. Per fortuna molti di loro risultano interessati alla psicodermatologia e non a caso in questi anni mi è capitato di presentare molti lavori in ambito pediatrico. Anche l’adolescenza è un’età piuttosto delicata in cui possono iniziare a manifestarsi disturbi psicosomatici”.

Per la cura del singolo la psicodermatologia appare una grandissima risorsa, poco fa parlava di nomadismo dermatologico, quindi le chiedo se anche dal punto di vista economico del sistema ha ricadute positive.

“Sì, un mancato ascolto del paziente porta al nomadismo dermatologico e quindi allo spreco di denaro pubblico, ma anche la medicina narrativa in sé appare oltre che uno strumento diagnostico una fonte curativa: si è stimato infatti che essa aumenti del 50 per cento l’aderenza dei pazienti alla terapia prescritta, con un’ulteriore risparmio di denaro del sistema sanitario nazionale e delle famiglie”.

Le istituzioni hanno compreso questo risvolto pragmatico o stentano ancora a farlo? Qual è la situazione della psicodermatologia attualmente in Italia?

“Nonostante il crescente interesse da parte di molti attori sociali, come i pediatri di cui abbiamo detto, le istituzioni sembrano poco ricettive. Al momento la psicodermatologia non esiste né come materia di studio né tanto meno come specializzazione universitaria, e questa è una mancanza molto grave, tanto più se si considera che in Paesi vicini (geograficamente e culturalmente) come la Francia è una scienza riconosciuta e diffusa. Scarseggiano anche i centri in cui si pratica e, a parte Venezia, la culla italiana della disciplina, Genova e Torino, non c’è più nulla. Io stessa mi sono dovuta specializzare a Parigi, dopo sette anni di formazione a Venezia. L’aspetto dell’aderenza terapeutica sta invece cominciando a destare favorevolmente l’attenzione delle aziende del farmaco”.

La vostra associazione è quindi una mosca bianca. Quali sono le vostre attività in particolare per promuovere questa scienza?

“La Sidep in questi 17 anni di vita è cresciuta, sia per il numero di iscritti sia per l’attenzione sollevata dalle aziende farmaceutiche e i media. Per una maggiore diffusione ci impegniamo con un nostro congresso annuale, partecipiamo agli altri congressi nazionali e facciamo direttamente formazione. Il nostro auspicio è che tutto ciò possa ben presto risvegliare un interesse da parte delle istituzioni, in particolare quelle accademiche e ospedaliere”.


Commenti

  1. Antonella Palombo scrive:

    Molto interessante l’articolo e l’attenzione posta a ciò nche sta dietro la superficie della pelle …. il mpunto è che una volta ascoltate le parole o evidenziati i disagi lo psicodermatologo non può intervenire per risolverli perchè di competenza dello psicoterapeuta!!!
    non facciamo confusione altrimenti i pazienti finiscono per ridurre la psicoterapia ad una mera comunicazione; ma non è cosi. I conflitti interiori si elaborano e si superano solo attraverso le competenze di uno psicoterapeuta. Di qui l’urgenza di una stretta collaborazione di un medico in grado di guardare oltre la malattia fisica e lo psicoterapeuta che si occupa dei disagi mentali emotivi comportamentali percettivi ecc…

Lascia un commento

Protezione anti-spam *