Al Besta di Milano

Rimosso cancro al cervello con minilaser, prima volta in Europa

di oggisalute | 12 dicembre 2018 | pubblicato in Attualità
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Un’incisione di 2 millimetri e un laser mininvasivo ultra preciso per rimuovere tumori cerebrali. Sono i dettagli di due interventi eseguiti all’Istituto neurologico Besta di Milano con una procedura nuova, l’ablazione con tecnica di termoterapia interstiziale laser (Litt). L’équipe dell’Irccs di via Celoria, guidata da Francesco DiMeco, direttore del Dipartimento di neurochirurgia, ha eseguito quelle che vengono definite in una nota come “le prime due procedure in Italia” con questo trattamento innovativo per intervenire su due pazienti: una donna di 38 anni con tumore al seno e metastasi parietale anteriore in progressione, nonostante un precedente trattamento di radiochirurgia; un uomo di 53 anni affetto da tumore renale con metastasi frontale posteriore, condizionante una paralisi all’arto superiore per cui era necessario un trattamento cortisonico prolungato.

Entrambi gli interventi, spiegano gli esperti, hanno avuto esiti favorevoli e i pazienti potranno migliorare la loro qualità di vita. Il trattamento laser mininvasivo di ablazione permette di trattare tumori cerebrali, primari e metastatici, non facilmente raggiungibili con la chirurgia convenzionale, di piccole e medie dimensioni. Si avvale dell’utilizzo di una piccola sonda dotata di una fibra ottica, posizionata con precisione millimetrica, grazie a tecniche avanzate di imaging computerizzato, per erogare energia laser nell’area del cervello da trattare. Quando la luce laser viene rilasciata, la temperatura dell’area bersaglio inizia ad aumentare e viene distrutto solo il tessuto patologico.

“E’ stato un intervento poco invasivo – racconta la paziente, C.M. – Mi è stata fatta l’anestesia generale, ma al risveglio ero cosciente e muovevo gambe, braccia e mani liberamente. Non ho avuto complicanze e già il giorno dopo sono tornata a casa dalla mia famiglia e piano piano sto riprendendo a fare la mia vita regolarmente. Ringrazierò sempre il professor DiMeco, la dottoressa Cecilia Casali e tutta la loro équipe per avermi dato questa opportunità”.

La nuova procedura richiede una micro incisione di 2 millimetri sul cuoio capelluto, un unico punto di sutura e pochi minuti per la sua attuazione. Riduce i giorni di degenza (dai 4-5 previsti dalla neurochirurgia tradizionale a uno), l’utilizzo prolungato della terapia cortisonica, l’insorgenza di recidive e i costi per il sistema sanitario, illustrano gli esperti.

“Un trattamento innovativo – spiega Casali, che fa parte dell’équipe medica dell’Uo di neurochirurgia e ha eseguito la procedura – Prima di effettuare il trattamento attuiamo un’attenta valutazione del paziente, grazie a un team multidisciplinare che coinvolge neurochirurghi, neurologi, neuro-oncologi e neuroradiologi, sentendo anche il parere di alcuni neurochirurghi statunitensi, esperti di questa metodica. Effettuiamo inoltre un accurato imaging pre-operatorio, avvalendoci dell’aiuto dei fisici sanitari. L’utilizzo della risonanza magnetica nel corso della procedura di ablazione ci consente di monitorare con precisione il trattamento, ottenendo un’ablazione precisa nell’area di interesse e riducendo al minimo il rischio di danni potenziali al tessuto sano circostante. L’applicatore laser viene poi rimosso e la piccola incisione viene chiusa con una sutura veramente minimale”.

Il Besta, ricorda DiMeco, “tratta il maggior numero di tumori cerebrali in Italia” ed “è all’avanguardia” su questo fronte. “E’ stato scelto, a livello europeo, quale centro leader di questa innovativa tecnologia. Ritengo che l’innovazione sia tale solo se il contesto sanitario è pronto a riceverla. E sono convinto, oggi più che mai, che un’innovazione terapeutica come il laser mininvasivo di ablazione, per trasformarsi in reale e concreto servizio al paziente, debba essere erogata da strutture idonee che posseggano il giusto livello di esperienza nella gestione della malattia, dove sia stato definito un percorso di cura chiaro e trasparente, in grado di orientare sia gli operatori sanitari coinvolti che i pazienti e i caregivers al massimo livello di appropriatezza. Questo – conclude – per mantenere alto il livello di efficacia, qualità e sostenibilità delle cure”.

(Fonte: Adnkronos)

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