Lo rivela uno studio

Registrata attività di neuroni
nei pazienti in stato vegetativo

di oggisalute | 12 novembre 2018 | pubblicato in Attualità
neuroscienze

Un gruppo di scienziati italiani è riuscito a registrare l’attività elettrica di singoli neuroni nei pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza, “con una risoluzione spaziale e temporale mai ottenuta prima” in questi malati, grazie a microelettrodi impiantati in due regioni del cervello (talamo e corteccia) durante interventi di stimolazione profonda. I risultati sono pubblicati su ‘Plos One’ e secondo gli autori, guidati da Lorenzo Magrassi dell’università degli Studi-Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, potranno aiutare lo sviluppo di tecniche per la diagnosi differenziale delle due condizioni e la ricerca di eventuali, future terapie potenzialmente in grado di favorire “la ripresa di coscienza, anche parziale”.

Il lavoro coordinato da Magrassi, professore associato di Neurochirurgia presso l’ateneo pavese, è frutto di una collaborazione tra neurochirurghi, anestesisti rianimatori, neuroradiologi e neurofisiologi di università e San Matteo, Irccs Fondazione Istituto neurologico C. Mondino di Pavia e Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr di Segrate (Milano). La ricerca, sottolinea una nota, “si inserisce in un clima di grande interesse per i pazienti con disturbi della coscienza, a volte accompagnato da eccessive polemiche”. Per questo negli ultimi anni si sono intensificati in tutto il mondo gli sforzi volti “comprendere e meglio definire le attività cerebrali dei pazienti che, avendo subito una grave cerebrolesione causata con maggior frequenza da un trauma cranico o da un danno vascolare cerebrale, non sono più ritornati a uno stato di coscienza normale”.

“Questi studi – si precisa – hanno principalmente lo scopo di chiarire le alterazioni dei circuiti cerebrali presenti nei pazienti con disturbi della coscienza, per migliorare la nostra capacità di diagnosticarli in modo univoco e di favorire lo sviluppo di nuove terapie che possano un giorno aiutare i pazienti a migliorare il loro stato di coscienza”. Inoltre, “un’altra affascinante motivazione” per questo filone di indagine è “la possibilità di contribuire a identificare e comprendere i meccanismi neurofisiologici che sottendono alla coscienza in assenza di patologie”.

Finora, ricordano gli esperti, tutti questi studi hanno utilizzato tecniche come la risonanza magnetica funzionale, la registrazione elettroencefalografica ad alta densità, i potenziali evocati e la stimolazione magnetica transcranica. “Tali metodiche, pur avendoci permesso di acquisire nuove importanti conoscenze, sono limitate da una risoluzione spaziale grossolana, dell’ordine di millimetri, e nel caso della risonanza magnetica funzionale anche da una risoluzione temporale insufficiente a studiare direttamente l’attività dei singoli neuroni che compongono i circuiti cerebrali”.

Nel nuovo lavoro, invece, tramite i microelettrodi impiantati nel tessuto cerebrale “per la prima volta si sono analizzate registrazioni ad altissima risoluzione spazio-temporale”. Gli scienziati hanno così potuto osservare, direttamente e simultaneamente, l’attività di singoli neuroni in alcune delle aree responsabili dell’alternarsi dello stato di coscienza, per esempio durante la veglia e il sonno.

“Le analisi effettuate – riferisce la nota – hanno dimostrato come l’attività neurofisiologica di queste strutture, nei pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza, sia profondamente diversa da quella presente in soggetti normali durante periodi transitori di sospensione fisiologica o farmacologica della coscienza, quali il sonno non Rem e l’anestesia generale, che a un osservatore superficiale potrebbero sembrare simili. Inoltre, lo studio delle reciproche influenze fra l’attività dei neuroni del talamo e della corteccia cerebrale ha dimostrato come queste siano fortemente diminuite, ma ancora presenti, particolarmente nei soggetti in stato di minima coscienza rispetto a quelli in stato vegetativo”. Dati che, concludono gli autori, “potranno contribuire allo sviluppo razionale di nuove tecniche per la stimolazione cerebrale nei pazienti con disturbi della coscienza in cui l’estensione delle lesioni cerebrali e l’attività cerebrale residua possa essere ancora compatibile con il risveglio”.

(Fonte: Adnkronos)

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