Bioetica

Fine vita, il Papa: “Evitare accanimento
terapeutico non è eutanasia”

di oggisalute | 16 novembre 2017 | pubblicato in Attualità
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“Non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”. Lo sottolinea Papa Francesco, in un messaggio  a monsignor Vincenzo Paglia e al Meeting regionale europeo della World Medical Association sulle questioni del fine vita.

“Gli interventi sul corpo umano – osserva il Pontefice – diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.

Bergoglio, citando un discorso che Pio XII rivolse 60 anni fa ad anestesisti e rianimatori, ricorda che “affermò che non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, è lecito astenersene. E’ dunque moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’. L’aspetto peculiare di tale criterio è che prende in considerazione ‘il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali’. Consente quindi di giungere a una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all”accanimento terapeutico’”.

Si tratta, sottolinea il Santo Padre, di “una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare. ‘Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire’, come specifica il Catechismo della Chiesa Cattolica. Questa differenza di prospettiva restituisce umanità all’accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere. Vediamo bene, infatti – ribadisce il Papa – che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”.

Il Papa, nel messaggio al Meeting sul fine vita, ricorda che la dignità della persona viene prima di tutto: “Per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato, non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale. Occorre un attento discernimento che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita – e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere – deve avere, nella cura e nell’accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano”.

“In questo percorso – precisa Francesco – la persona malata riveste il ruolo principale. E’ anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante”.

Le cure, ammonisce ancora il Papa, devono essere accessibili a tutti: “Trattamenti progressivamente più sofisticati e costosi sono accessibili a fasce sempre più ristrette e privilegiate di persone e di popolazioni, ponendo serie domande sulla sostenibilità dei servizi sanitari. Una tendenza per così dire sistemica all’incremento dell’ineguaglianza terapeutica. Essa è ben visibile a livello globale, soprattutto comparando i diversi continenti. Ma è presente anche all’interno dei Paesi più ricchi, dove l’accesso alle cure rischia di dipendere più dalla disponibilità economica delle persone che dalle effettive esigenze di cura”.

Il Pontefice pensa alle fasce più deboli. Da qui il monito: “Lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società. Una particolare attenzione va riservata ai più deboli, che non possono far valere da soli i propri interessi. Se questo nucleo di valori essenziali alla convivenza viene meno, cade anche la possibilità di intendersi su quel riconoscimento dell’altro che è presupposto di ogni dialogo e della stessa vita associata”.

“Anche la legislazione in campo medico e sanitario richiede questa ampia visione – conclude – e uno sguardo complessivo su cosa maggiormente promuova il bene comune nelle situazioni concrete”.

(Fonte: Adnkronos)

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